sabato 30 giugno 2012

‎Essere uno scrittore è più o meno come dover fare i compiti ogni notte, per il resto della tua vita.

Lawrence Kasdan


Oggi me ne vado così. Perché sono senza forze. Sono un po' sconvolta da come la vita ti possa ridere in faccia, delle volte.
La memoria gioca brutti scherzi. Quando si invecchia poi, le risate che si fa la vita sono disarmanti. 
Io ti parlo, nonna. Mica ti lascio.


La citazione non c'entra. Ma non importa. Oggi no.

giovedì 28 giugno 2012

Vogliono uccidere Federico Aldrovandi ancora un migliaio di volte.

Ricorderete l'omicidio di Federico, lo studente diciottenne che il 25 settembre 2005 morì per arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale, sotto i manganelli spezzati di quattro poliziotti. Si dice che il ragazzo avesse assunto sostanze stupefacenti, che potevano comunque procurare uno sballo leggero e di breve durata.
I poliziotti lo descrivono come un "invasato violento e in evidente stato di agitazione" e dicono di essere stati aggrediti dal giovane.
Federico aveva diciotto anni. Muore con 54 lesioni e ecchimosi ma i poliziotti insistono, per loro è stato un malore. La perizia del magistrato afferma che la causa del malore è un'overdose di eroina (sostanza presente nel corpo di Federico ma in modo poco significativo). Ma allora se Federico aveva abusato di eroina, perché era così agitato come raccontano i poliziotti? L'abuso di oppiacei, infatti, comporta torpore, non certo euforia. 
I quattro poliziotti vengono scritti nel registro degli indagati. Nel novembre 2006 viene escluso il collegamento fra le sostante assunte da Aldrovandi e la sua morte. 
Il 21 giugno 2012 la Cassazione rende definitiva la condanna a 3 anni e 6 mesi per i quattro poliziotti i quali, chiaramente e ingiustamente, non rischiano nemmeno un giorno di carcere in quanto 3 anni sono coperti dall'indulto. 


Ma non gli è bastato. Federico non è morto solo una volta. Federico viene ucciso ancora ancora e ancora, dalle parole.
«Che faccia da c... aveva sul tg, una falsa e ipocrita, spero che i soldi che ha avuto ingiustamente (2 milioni di euro, risarciti dal ministero degli interni alla famiglia Aldrovandi, ndr) possa non goderseli come vorrebbe, adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie» sono le parole assurde di Paolo Forlani, uno degli agenti condannati per l'omicidio di Aldrovandi sulla madre del ragazzo. E gli insulti continuano (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2012/06/26/pop_aldovrandi.shtml). Oltre a espressioni come "vergognatevi comunisti di merda" (sostengono, infatti, che il loro, oltre ad essere un processo mediatico sia anche un caso politico perché gli inaccettabili fatti si sono svolti a Ferrara che viene definita "città rossa come la bandiera sovietica"), che sembrano leggerezze in confronto a quello che si scrive su Federico e sua madre, non passano inosservate le parole di Sergio Brandoli e dello stesso Forlani. Federico viene definito non un uomo, ma un "cucciolo di maiale" male allevato dalla madre.
Io non sono indignata, io sono schifata. Mi gira la testa e mi viene da vomitare. Federico aveva diciotto anni. Ha sbagliato, ha assunto sostanze stupefacenti. Federico è stato punito, l'hanno ammazzato (perché alla fine è così che dice la sentenza definitiva della Cassazione, no?) ma a loro non basta. A loro non basta avergli spaccato addosso due manganelli, uscendone relativamente impuniti. Non si limitano ad urlare al mondo la loro innocenza, devono insultare idee politiche e uccidere ancora Federico.
Io sinceramente ho paura. Ho paura dell'Italia che si volta dall'altra parte e dice: "era solo un drogato". Non era solo un drogato, era Federico. Le cosa fanno più male quando hanno un nome, vero? Perché se dici "era solo un drogato", sembra facile, sembra anche legittimo. Se invece dici "era Federico. Aveva diciotto anni. Viveva a Ferrara." ecco che le cose cambiano, non puoi mica scappare da parole così. Ci sei dentro. Perchè Federico viveva, ma ora non più. Ma c'è un'Italia che non vuole essere dentro le cose, vuole solo commentare quello più vicino e più comodo. Io ho paura di questa parte dell'Italia e mi piace pensare che sia solo una piccola briciola, insignificante. Ho i brividi per lo schifo che si può raggiungere.

lunedì 25 giugno 2012

Should I stay or should I go?


Always tease tease tease,you're happy when I'm on my knees.One day is fine, next day is black.
So if you want me off your back,
well come on and let me know.



Ecco. Io sono un po' così. Diciamo che un po' te la sei cercata, però. 
«Did I lose you?» Cosa vuoi che ti dica. Può darsi.
Perché sai, ci si stanca anche di non essere mai presi sul serio, di essere un passatempo.
Ci si stanca semplicemente, un giorno ti alzi dal letto a metà pomeriggio e pensi, io mi arrendo. Perché dopotutto ho sedici anni, dopotutto non faccio nemmeno così schifo come credevi tu. E allora ho pensato, basta.
Che strana parola "basta". Sa confondere, è ipocrita. Per questo mi piace.
Basta con questa storia.
Basta con questa vita.
Basta gridare, smettila.
Basta sperare, è inutile.

Ma anche,
basta la nostra storia.
Mi basta la mia vita, va benissimo così.
Basta gridare, starai meglio.
Mi basta sperare, magari si avvera.

E allora io quando ti dico basta, cosa voglio dire davvero?

lunedì 18 giugno 2012

18 giugno /


Dici l'amore uccide
sono morto più di venti volte,
te continuerai a fuggire,
dimmi quand'è che mi diventi forte,
tieniti forte, quando tutto quanto crollerà
questa sabbia non basterà
contro il fuoco che hai,
so che è meglio se vai
però spero che resti, mi ami ma mi detesti.




Fa male l'amore, eh? Un casino di persone dicono che però ne vale la pena.
Insomma le lacrime, i denti stretti, i pugni al muro, tutto il veleno ingoiato vale un bacio. Un solo bacio.

 Io forse sono sbagliata, però.
Io non so perché ma di lottare non ho più voglia. Non ho più voglia di prendere treni, di pensare bene a quello che devo dire.
Non mi va di essere di qualcuno.
Eppure. Eppure forse.
Mentre ci penso mi arriva un tuo messaggio, «Guarda che ho capito che non ti vado a genio», e io ti vorrei rispondere in sacco di modi.
Ti vorrei dire che, guarda, non hai capito proprio niente. Che forse è vero, ogni tanto mi stai un po' sul cazzo ma comunque non mi importa. Io ti voglio qui.
Ti vorrei dire che sono passati nove mesi, più di duecentosettanta giorni ad aspettarti, e che io queste storie proprio non me le merito.
Potrei scriverti tante di quelle parole. Ma alla fine, come sempre, scelgo la risposta più vigliacca. «Ma che cazzo dici?». Ma che cazzo dici, eh? Il mare ti dà alla testa, hai i granelli di sabbia fra i ricci. E poi hai me, incastrate nei pensieri. Lo capisco da come parli, da come ci accarezziamo le mani nel mezzo dei tuoi discorsi.
L'altra sera ti ho detto «Siamo teneri.» e tu sei scoppiato a ridere. «Siamo pessimi, eh...» ho aggiunto poi. Perché la verità ci fa sempre ridere.
In realtà eravamo bellissimi. Ma mi sembrava stupido dirlo.


venerdì 15 giugno 2012

Perchè?





Cominciamo dall'inizio.
Qualche mese fa un amico mi ha consigliato di aprire un blog. «Potrebbe farti bene.» Ma io non ho niente da raccontare. In realtà ho sempre un fiume in piena di emozioni da esprimere, ma quasi mai trovo il modo e la voglia di esprimerle.


E adesso?
Non lo so. Sarà l'estate. Sarà che ho un casino di tempo da buttare e allora? Allora scrivo. Questo blog per me è l' "impresa". L'impresa perché io non concludo mai nulla, lascio tutto a metà, sono pigra. E allora è una sfida, una distrazione, uno sfogo.
Fatemi provare, almeno.


Ma quindi?
Quindi eccomi qui. Una sedicenne (vorrei dire diciassettenne ma non posso, lati negativi del fare gli anni a Dicembre, con la neve che scende fuori, e le persone che con la scusa che si è sotto Natale ti fanno un unico regalo - come se me ne importasse molto poi, del regalo) abbastanza problematica (che novità, direte). A pensarci la mia vita non è diversa da quella di voialtri, divisa tra liceo e quelle poche amicizie vere che decido di coltivare. Ma è come se qualcosa mi rovistasse lo stomaco, ogni tanto. Qualcosa che mi dice «Tu non sei come la maggior parte di questi, tu pensi con la tua testa». Complessi di superiorità. Che poi, io, non penso con la testa. Penso con il cuore, con la pancia, a volte anche con la bocca. Con la testa mai.
A volte, la sera, quando davvero ho troppi pensieri per la testa e non ce la faccio proprio più, mi racconto una favola della buonanotte. Anche se poi prima delle due non prendo sonno. Anche se alla fine non è mai una favola, perché la principessa scopre di non esistere o il principe azzurro si perde in un bosco. 
Mia mamma mi ha appena montato una nuova mensola per i libri, sono mesi che non ci stanno più nella libreria. Allora inevitabilmente si ammassano, si impilano, un po' si incazzano pure lì per terra. Che ci posso fare? Ne leggo troppi. La vita vera mi fa paura, mi piace più vivere fra le pagine, fra le vite che vivono gli altri. 
Mi piacciono tante cose. Le ciliegie (quante ne mangerei!), i sorrisi, le penne rosse, i pastelli a cera. Ma c'è una cosa che, fra tutte, preferisco. La verità. La verità è bella perché è pura, come i bambini. Le bugie non mi piacciono, sono sporche. La verità graffia, ma la bugia uccide. Io voglio combattere per questa verità, in un paese come il nostro in cui sembra un'utopia.